Uno dei temi di questa introduzione all’insegnamento per competenze sarà, allora, la rivisitazione esplicita del ruolo di insegnante e delle nuove competenze (meta-competenze) che gli necessitano. L’insegnamento non è un automatismo: non si entra in una classe, si spiegano i contenuti sacri e immutabili del “programma” e pertanto si è insegnato. Un modello di insegnamento di questo tipo potrebbe, tranquillamente, essere soppiantato in tutto e per tutto dalle nuove tecnologie: si scelgono pochi bravi divulgatori, si piazzano davanti a delle telecamere, si raggruppano in grandi aule con grandi schermi enormi, gruppi di ragazzi e si consente loro di seguire brillanti esposizioni di contenuti. Il risparmio sarebbe in grado di risanare le finanze pubbliche. Quest’azione consentirebbe, nella migliore delle ipotesi, l’assimilazione di nozioni e contenuti semplici, appresi in modo acritico, spesso presto dimenticati. Chiediamo questo a un sistema di istruzione?
In Italia, così come in molti Paesi occidentali, per lungo tempo l’azione di insegnare e l’azione di apprendere sono state concepite come momenti separati e distinti, seppur non esplicitamente, attraverso le pratiche messe in campo. La prima azione, di esclusiva responsabilità dell’insegnante, consiste nel veicolare dei contenuti (responsabilità che si esaurisce nell’ “aver spiegato” attraverso la lezione frontale); la seconda, di esclusiva responsabilità degli alunni, consiste nell’ascoltare, prendere appunti, studiare, ripetere. Il terzo momento, che riguarda quanto avviene nella maggioranza delle classi italiane (tanto più con il crescere dell’età e del grado scolastico), è quello della verifica: l’alunno ripete (o completa una verifica scritta), l’insegnante soppesa il grado di preparazione (in poche parole, misura il grado di identità tra quanto ha spiegato e quanto gli viene ripetuto) e assegna una valutazione.
Articolo tratto da Insegnare per competenze di FEDERICO BATINI
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